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SPAZIO SALUTE

Supercibi: falso mito o realtà?

DCA E COVID19

Un’epidemia nella pandemia. Più 30 per cento: è questo l’incremento medio dei casi di disturbi alimentari nell’ultimo anno (febbraio 2020 – febbraio 2021) rispetto allo stesso periodo 2019-2020, con un abbassamento della fascia di età (13-16 anni) e un aumento delle diagnosi, soprattutto di anoressia nervosa. Lo dice l’ultimo report dell’ADI – Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione clinica.

Nell’ultimo anno, a causa della pandemia, lo spazio, il tempo, il rapporto col cibo e col corpo hanno assunto forme diverse, sono stati ridefiniti. Tutto ciò ha implicato un alto rischio di ricaduta o il peggioramento della gravità del disturbo alimentare, sia per i sentimenti negativi e gli stati d’animo generati dalla quarantena, sia per la carenza di adeguati trattamenti psicologici e psichiatrici che inevitabilmente sono associati ad una malattia pandemica. Oggi, Giornata nazionale del Fiocchetto Lilla 2021 dedicata alla lotta contro i Disturbi del Comportamento Alimentare, l’allarme viene lanciato anche da Raffaele Bracalenti, presidente dell’Istituto di Psicoanalisi per le Ricerche sociali (Iprs).

All’agenzia Dire, Bracalenti sottolinea quanto l’emergenza riguardi anzitutto i più giovani: “I dati relativi all’aumento di casi di disturbi alimentari post lockdown, da febbraio a maggio 2020, del 30% in bambini e preadolescenti è certamente allarmante. Tuttavia bisogna fare attenzione a evidenziare solo la scarsità dell’offerta di trattamenti psicologici e psichiatrici nel corso dell’emergenza Covid-19, come se il trattamento di questi disturbi potesse essere esclusivamente di tipo clinico. Come è noto, invece, la risposta deve essere integrata, complessa, volta a promuovere in senso olistico uno stile di vita sano. Le occasioni di socializzazione, lo sport e tutte le altre attività analoghe sono venute meno durante la pandemia, anche più dei servizi di salute mentale. C’è il rischio concreto che la crisi del Covid-19 porti a cercare in una medicalizzazione diffusa la soluzione a tutti i problemi che emergono: pur necessari, i trattamenti clinici da soli non sono sufficienti”.

Le persone che nel nostro Paese soffrono di disturbi del comportamento alimentare (DCA) sono circa 3 milioni, di cui 2,3 milioni sono adolescenti. “Le patologie di questo tipo emergono in prevalenza tra i 12 e i 25 anni, ma ultimamente l’età di insorgenza dell’anoressia nervosa si sta abbassando: circa il 20% delle nuove diagnosi riguarda la fascia 8-14 anni. Se è vero che oltre il 95% di chi soffre di questi disturbi è di sesso femminile, il fenomeno dell’anoressia nervosa non esclude di certo i ragazzi. Soprattutto nell’ultimo periodo”, ha dichiarato recentemente all’HuffPost la dottoressa Elena Bozzola, Segretaria Nazionale della Società Italiana di Pediatria.

Negli scorsi mesi il dottor Riccardo Dalle Grave, responsabile dell’Unità di Riabilitazione Nutrizionale della Casa di Cura Villa Garda di Garda (Verona), aveva detto all’HuffPost: “Durante la pandemia la situazione è stata complicata anche dal ridotto accesso alle cure, con centri chiusi, meno disponibilità e possibilità di seguire i pazienti in presenza”.

Lo specialista – autore dell’articolo pubblicato su Psychology Today dal titolo Coronavirus Disease 2019 and Eating Disorders – What do people with eating disorders have to address during the pandemic? – aveva proseguito sottolineando che “il distanziamento sociale e l’isolamento hanno prodotto molti esordi di disturbo dell’alimentazione, o hanno causato ricadute in soggetti che erano in remissione anche da molto tempo. Ho visto pazienti che, durante il lockdown, sono tornati a combattere contro il disturbo dopo oltre un decennio di remissione”.

“Un meccanismo abbastanza comune è dato dalla limitata possibilità di camminare ed esercizio fisico, che può accrescere la paura dell’aumento di peso e della perdita di forma”, aveva detto Dalle Grave sottolinea il responsabile dell’Unità di Riabilitazione Nutrizionale della Casa di Cura Villa Garda.

In questo contesto, secondo l’esperto,si innescano particolari meccanismi: “Le elevate scorte alimentari presenti in casa durante il confinamento possono essere un fattore scatenante degli episodi di abbuffata, nei pazienti caratterizzati da questa espressione comportamentale del disturbo. Altri problemi sono generati dall’isolamento sociale, che può portare il soggetto a focalizzarsi ancora di più sul peso e sul corpo. Non sono mancati casi di nuovi pazienti adolescenti che, privati della socialità e della scuola, si sono confinati in casa pensando esclusivamente al cibo e alla forma del corpo”.

La mancanza di confronto con l’altro può produrre anche altri effetti. “Accade che i soggetti affetti da disturbi dell’alimentazione, ritrovandosi soli, insistano con comportamenti di body-checking (controllo del corpo, ndr). Allo stesso tempo, alcuni possono sentirsi rassicurati dal mancato confronto con l’alterità: questo può portare a strategie di evitamento sociale e creare un ostacolo importante al miglioramento del funzionamento interpersonale, fondamentale per ridurre l’eccessiva valutazione del peso, della forma fisica e del loro controllo”, aveva sottolineato Dalle Grave.

Il confinamento, inoltre, porta con sé un’obbligata e prolungata convivenza con i familiari che, affermava lo specialista, “può innescare o accentuare le difficoltà interpersonali che possono contribuire al mantenimento del disturbo dell’alimentazione. Questo accade soprattutto in contesti familiari difficili”. E ancora: “Se guardiamo le problematiche psicologiche in generale, le pandemie sono sempre associate a un aggravamento sia dei disturbi più generali sia di quelli più specifici”.